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Vittorio Emanuele II di Savoia (1861-1878) · Regno d'Italia

1 lira · 1863

Valore su due rami di alloro 3° tipo · ø 23 mm · 4,95/5,00 g · Ag

Vittorio Emanuele II di Savoia 1861 1878 Regno d'Italia 1 lira 1863 Valore su due rami di alloro 3 tipo 23 mm 4,95 5,00 g Ag dritto
Vittorio Emanuele II di Savoia 1861 1878 Regno d'Italia 1 lira 1863 Valore su due rami di alloro 3 tipo 23 mm 4,95 5,00 g Ag rovescio
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    Queste monete, coniate con il titolo di 835 millesimi, sostituirono, per effetto della L 788/1862, le precedenti monete in argento con il titolo di 900 millesimi. Questo, per contrastare la speculazione dell'epoca, che, per l'effetto dell'aumento del prezzo dell'argento, favoriva l'esportazione delle monete in argento con il titolo pieno [Carboneri 1915b, p. 544]. Di conseguenza queste monete persero la qualità di monete a pieno titolo ed a corso legale illimitato, diventando delle divisionarie a corso legale limitato, ossia una specie di gettone monetario con il valore nominale superiore a quello intrinseco. Il quantitativo delle monete divisionarie fu fissato a 150 milioni e il loro corso legale ridotto a 50 lire per ogni pagamento fra privati e, nei pagamenti doganali, alle somme inferiori a 5 lire; fermo restando che lo Stato rimaneva vincolato a riceverle nelle casse pubbliche senza limite di somma [ibid.pp. 295-296, 477, tab.]. Pertanto, l'unità monetaria - la lira italiana - da moneta effettiva si svalutò in moneta sussidiaria (o moneta debole) e il sistema monetario bimettalico in vigore si trasformò in un bimetallismo zoppo o incompleto, dove soltanto le monete d’oro conservarono in esso il carattere di monete perfette.

    Dal 1861 al 1873, l'esercizio delle zecche fu ceduto in appalto, dopodiché fu assunto definitivamente dallo Stato, che vi provvide direttamente con proprio personale. Il RD 288/1861 prescrisse i termini dell'appalto generale della monetazione d'oro e d'argento del Regno, rimasero deliberatarii, per la zecca di Torino, la Banca Nazionale; per quella di Napoli, la società Estivant di Parigi; per quella di Milano, la ditta Talanger et Cie di Parigi. Inoltre, fu effettuato un appalto (a cui ne seguirono altri) per la fornitura di 8 milioni di pezzi di bronzo da centesimi 10, che si aggiudicò la ditta Oeschger et Mesdach et Cie di Parigi, con fonderia e laminatoio a Biache Saint-Vaast. Tuttavia, a principiare dal 1862, l'esercizio temporaneo di tutte le zecche fu assunto, in forza della Convenzione del 21 dicembre 1861, dalla Banca Nazionale, che lo tenne fino al 31 dicembre 1873: le monete, che portano il monogramma composto dalle iniziali bn (Banca Nazionale), sono appunto di questo periodo. Se ne hanno però ancora col millesimo 1874 e 1875, perché l'appalto della zecca di Milano da parte della Banca Nazionale cessò definitivamente soltanto allo scadere di quest'ultimo anno [Carboneri 1915b, pp. 287-288]. Per quanto concerne, invece, la zecca di Napoli, il controllo completo passò alla Banca Nazionale solo dopo il 10 gennaio 1863, quando la società Estivant consegnò l'ultimo quantitativo di monete che si era impegnata a produrre [Mastroianni Bovi 1989, p. 433].

    Le monete da 1 lira in argento, con il titolo di 835 millesimi, furono coniate dal 1863 al 1867, complessivamente, in 68.000.000 di pezzi, per un totale di 68.000.000 di lire. Più precisamente: 34.323.405 pezzi del 2° tipo (Stemma), dal 1863 al 1867, per un totale di 34.323.405 lire, e 33.676.595 pezzi del 3° tipo (Valore), dal 1863 al 1866, per un totale di 33.676.595 lire [Carboneri 1915b, pp. 878-881, tab. B1].

    Tra le monete aventi la legenda del contorno composta dai tre motti fert, in incuso tra nodi e rosette, se ne possono trovare alcune in cui, seppur raramente, per la consunzione, deformazione o rottura, dovuta all'usura delle lettere f, e, r e t poste in incuso sulla ghiera, uno, due o tutti i tre motti si presentano alterati in fekt, fent, fept, feri, ffkt, ffrt, fih, fikt, fkrt, iiki o iirt. Più frequentemente, invece, può capitare che, per l'errata disposizione della ghiera, vi siano delle monete che presentano la legenda del contorno impressa al contrario, ossia quando i tre motti fert appaiono capovolti rispetto alla faccia del dritto.


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