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Vittorio Emanuele II di Savoia (1861-1878) · Regno d'Italia

10 Centesimi · 1862

Valore entro semicorona di alloro 1° tipo · ø 30 mm · 9,75/10,00 g · Æ

Vittorio Emanuele II di Savoia 1861 1878 Regno d'Italia 10 Centesimi 1862 Valore entro semicorona di alloro 1 tipo 30 mm 9,75 10,00 g dritto
Vittorio Emanuele II di Savoia 1861 1878 Regno d'Italia 10 Centesimi 1862 Valore entro semicorona di alloro 1 tipo 30 mm 9,75 10,00 g rovescio
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    La natura di questi 10 Centesimi "Esperimento" di bronzo, la relativa zecca di produzione e il numero di pezzi prodotti, sono oggetto di opinioni contrastanti; in mancanza della necessaria documentazione, atta a dirimere la questione, ci siamo limitati ad approfondire ed elaborare quanto contenuto nella letteratura di riferimento.

    Il primo riferimento che abbiamo di questa emissione è Marchisio [1904b, p. 214], il quale la cataloga come "Prova" coniata a Napoli. Il CNI [I, p. 477, n. 31] conferma la classificazione del Marchisio. Cagiati [1918, p. 56], che non cita le zecche ma cataloga le monete per tipologia, la considera un esperimento di una nuova valuta per le popolazioni meridionali, aggiungendo che "[...] parecchi esemplari da me visti dimostrano tutti di essere stati molto in circolazione […]" Pagani [1957, p. 20, p. 110] si allinea alle catalogazioni del Marchisio e del CNI. Guerrini [1957, p. 73], sposa la tesi dell'esperimento di nuova valuta che ha circolato, avanzata dal Cagiati, aprendo tuttavia all'ipotesi che la zecca di produzione possa essere diversa da quella napoletana. Simonetti [1968, pp. 4-11], in un primo momento, ipotizza la coniazione di quest'emissione nella zecca di Torino; tuttavia, in seguito [Simonetti III, p. 24, n. 23/1, pp. 35-36], l'attribuisce, con riserva, alla zecca di Napoli, aggiungendo che la considera un esperimento di circolazione in quanto "[...] soddisfa uno dei requisiti che deve avere una moneta per essere considerata tale [l'avvenuta circolazione], ma manca il requisito principale, il regolare decreto di emissione". Pannutti e Riccio [1984, p. 322] la catalogano tra le monete napoletane, specificando che "Inseriamo nell'opera questa moneta in quanto secondo autorevoli studiosi, si tratterebbe di una vera moneta (e non di un saggio), destinata alla circolazione sperimentale nelle nuove province meridionali dell'Italia unita. Resta incerta l'effettiva coniazione nella zecca di Napoli." Infine, Castellana [2000-2004, pp. 9-10], accennando ad una prova da 10 centesimi, riferisce che "[...] forse successiva ad un'emissione con la scritta esperimento (in 20.000 esemplari) sotto l'effigie del Re rivolta verso destra e con il collo lungo […], forse coniata dalla Soc. Estivant e C. di Parigi, su commessa della Zecca di Napoli. Scopo dell'emissione dovette essere il sondaggio dell'opinione pubblica, restia a sostituire il sistema valutario borbonico con quello italiano. L'emissione rimase allo stato sperimentale dopo la normalizzazione della circolazione nazionale in quelle regioni del sud [...]" Tuttavia, per la precisione, dobbiamo ricordare che la società Estivant ottenne, a seguito del RD 288/1861, l'appalto diretto della zecca di Napoli, che mantenne fino a quando, dopo il 10 gennaio 1863, la medesima società consegnò l'ultimo quantitativo di monete che si era impegnata a produrre [Mastroianni Bovi 1989, p. 433]; dopodiché, anche per la zecca di Napoli valse la Convenzione del 21 dicembre 1861, tramite la quale la Banca Nazionale assunse l'esercizio temporaneo di tutte le zecche, che tenne fino al 31 dicembre 1873 [Carboneri 1915b, pp. 287-288].

    La letteratura di riferimento ci offre due diverse opzioni per quanto concerne la natura di questa moneta: "Prova di zecca" o "Esperimento di circolazione". Inoltre, ci indica la zecca di Napoli quale luogo di produzione, anche se con qualche riserva da parte di alcuni; infine, ci viene segnalato un quantitativo di 20.000 pezzi. Tutto, purtroppo, senza la citazione di alcuna fonte. Pertanto, nella catalogazione di questi 10 centesimi "Esperimento", possiamo solo avanzare delle ipotesi, tenendo conto sia della letteratura consultata sia delle particolari vicende che in quell'epoca interessarono la circolazione monetaria nelle province meridionali del regno.

    Il 10 centesimi di bronzo di cui discutiamo, è stato, senza dubbio, coniato in una delle zecche del regno d'Italia e, come tutti possiamo notare, presenta, nell'esergo del dritto lungo il bordo, la scritta esperimento. Sia il tipo del dritto (effigie sovrana con il collo lungo) sia quello del rovescio (due rami di alloro), sono tipici delle monete immediatamente precedenti quelle del regno d'Italia. Si tratta, comunque, di un'emissione che presenta, oltre all'indicazione del neonato regno e della data di coniazione, le caratteristiche, sia metrologiche sia di valore nominale, delle monete da 10 centesimi vere e proprie, in quel momento non ancora istituite.

    Incominciamo la nostra analisi dalla scritta esperimento, presente nel dritto di questi 10 centesimi, che, anche – e soprattutto – in mancanza di un apposito decreto di emissione, esclude la natura di monete vere e proprie di quest'emissione. Nella monetazione italiana la scritta esperimento appare solo in prove realizzate, nel 1860, dalle zecche di Bologna (quattro tipi di prove per la sperimentazione di nuovi materiali) [Pagani 1957, p. 10, nn. 42-52] e Milano (due tipi di prove per la sperimentazione di nuove leghe metalliche) [ibid., pp. 11-12, nn. 57-58, 61-62]. Successivamente, nel 1926, la zecca di Roma utilizzò la scritta esper. tecnico per ristampare su monete d'argento da 2 lire e 1 lira, ritirate dalla circolazione, i tipi delle monete di nichelio da 1 lira [ibid., p. 46, n. 268] e 50 centesimi [ibid., p. 48, n. 282]. Risulta evidente di come la scritta esperimento sia sempre stata utilizzata, anche se in pochi casi, solo per sperimentazioni di natura tecnica e che, tale scritta, non rientra nella consuetudine storica delle zecche di Bologna e di Milano.

    A tale proposito, dobbiamo considerare che le caratteristiche tecniche della monetazione di bronzo del regno d'Italia sono esattamente quelle ereditate dal precedente regno di Sardegna e, più in generale, dal sistema decimale. Pertanto, per l'emissione da 10 centesimi di cui discutiamo, dobbiamo giocoforza escludere l'ipotesi della sperimentazione di natura tecnica; anche perché nel 1861 circolavano già, in tutto il regno d'Italia, le nuove monete di bronzo da 5 centesimi, 2 centesimi e 1 centesimo. Infine, è utile fare presente che per lo studio delle monete del regno, sono sempre state utilizzate le scritte saggio e prova. Pertanto, in base a quanto esposto, non riusciamo a trovare alcun elemento per escludere, nella produzione dei 10 centesimi 1862 "Esperimento", la zecca di Napoli a beneficio di altra zecca.

    Tuttavia, non limitiamoci alle sole considerazioni di natura tecnica, ma indaghiamo anche su quelle più strettamente legate all'effettiva necessità di utilizzo di questi 10 centesimi sperimentali. In merito, Cagiati [1918, p. 56] ci informa che "[...] parecchi esemplari da me visti dimostrano tutti di essere stati molto in circolazione, cosa che non accade di solito ai saggi [...]" e Guerrini [1957, p. 71] scrive che "Non v'è dubbio che la moneta abbia circolato a Napoli [...]" Quante prove di monete sono state osservate in parecchi esemplari che sono stati a lungo in circolazione? Forse, potrebbe essere questo il solo caso. Allora, cosa sottintende la scritta esperimento presente in quest'emissione? Lasciamo, momentaneamente, in sospeso la questione legata alla natura di questi 10 centesimi e prendiamo in considerazione le indicazioni che ci portano alla sua presunta utilità. Guerrini [1957, p. 68] ci segnala che, sia presso l'Archivio di Stato di Napoli sia nel catalogo Fiorelli [1866], che elenca i conî che, alla chiusura della zecca di Napoli, furono trasferiti al Museo Nazionale, non ha trovato alcuna notizia in merito a quest'emissione ed ai suoi eventuali conî. Dopodiché, lo stesso Guerrini [1957, p. 72], facendo notare che il conio del dritto di questo 10 centesimi "[...] è quello che appare nelle monete della zecca di Bologna, coniate per il Governo Provvisorio per le Regie Provincie dell'Emilia […]", ne ipotizza la coniazione nella zecca di Bologna. Tuttavia, in nessun altro Archivio di Stato italiano è stata rinvenuta alcuna notizia in merito ai 10 centesimi in oggetto, così come non appaiono i relativi conî, e/o punzoni, in alcun elenco del materiale creatore utilizzato nelle varie zecche del regno. Inoltre, il conio dell'effigie reale di questi 10 centesimi non lo troviamo in tutte le monete coniate a Bologna, ma solo in quelle da 2 lire, così come lo ritroviamo anche nelle monete da 2 lire coniate a Firenze per il Governo della Toscana e in quelle coniate, sia a Genova sia a Torino, per il regno di Sardegna. Infatti, la moneta da 2 lire, con i suoi 27 millimetri di diametro, è quella che più si avvicina al 10 centesimi, che ha un diametro di 30 millimetri.

    Quanto abbiamo rilevato non ci aiuta, purtroppo, a risalire alla zecca di produzione di questi 10 centesimi sperimentali di bronzo e non è neppure emerso il motivo della loro coniazione. Nel 1861 già circolavano in tutto il regno le monete di bronzo da 5 centesimi, 2 centesimi e 1 centesimo; tutte coniate anche nella zecca di Napoli. Tuttavia, la moneta da 10 centesimi non era ancora stata istituita e neppure era in previsione di esserlo. Infatti, Lanfranco [1929a, pp. 286-287] ci informa che "Nel novembre del 1959, la Commissione Monetaria era incerta sull'eventualità di prendere in considerazione l'utilizzo di monete da 10 centesimi di bronzo, perché troppo pesanti, ingombranti e di scarsa utilità negli scambi." Anche Guerrini [1957, p. 71] scrive, a proposito dell'istituzione delle monete da 10 centesimi, che "[...] era ostile il Parlamento."

    Da uno studio di Bovi [Mastroianni Bovi 1989, pp. 428-429] risulta che "Il 27 febbraio 1861 a Napoli fu fatto un contratto in 39 articoli fra il marchese D. Michele Avitabile capo dell'Amministrazione delle monete e il signor G. B. Colombier rappresentante della ditta Estivant. Col detto contratto questa ditta si impegnava di coniare a Napoli monete di bronzo da 1, 2 e 5 centesimi coi pesi e i diametri stabiliti dalla legge del 20 novembre 1859. Il governo si riserva di coniare una moneta da quattro centesimi, del peso di grammi quattro e del diametro di millimetri 23, che doveva servire al cambio col grano; una da dieci centesimi o altre di altri valori. […] Intanto si rendeva sempre più necessaria una moneta di bronzo di valore maggiore di quella di 5 centesimi come dimostra una lettera, indirizzata dal Segretario generale al luogotenente del re nelle provincie meridionali (7 giugno 1861), la quale dice che la ditta Estivant fornirà 12 milioni di lire in monete da 5, 2 e 1 centesimo; ricorda che le piccole monete borboniche inferiori ad un grano restavano inutili nelle casse del Banco, perché non adatte ai comuni pagamenti e conclude che le dette monete di bronzo non sono adatte al cambio della moneta. Infatti la maggior parte delle monete borboniche è fatta dai 10 tornesi che sono di valore molto differenziato dalla moneta da 5 centesimi; sarebbe utile la produzione di monete da 10 centesimi. Interpellato in proposito il ministro dell'Agricoltura Industria e Commercio, risponde il ministro dicendo che, oltre che per altre ragioni esposte altrove, la coniazione dei centesimi 10 non è possibile in quanto la legge del 20 novembre 1859 e il decreto luogotenenziale del 17 febbraio 1861 non prevedono la battitura di questa moneta."

    Da quanto riportato, risulta evidente che nelle province meridionali, in merito alla circolazione monetaria, vi era una precisa e diversa esigenza rispetto agli altri territori del regno. Ciò nonostante, il governo, benché precedentemente si fosse riservato di farlo, negò la possibilità di coniare le monete da 10 centesimi e tale diniego valeva comunque per tutte le zecche del regno; tuttavia, tale disposizione valeva certamente per le monete ordinarie e non per le ventuali coniazioni sperimentali. In ogni caso il grave problema della circolazione monetaria spicciola nelle provincie meridionali rimase irrisolto e questi 10 centesimi "Esperimento" furono comunque coniati e fatti circolare. Nel meridione il problema monetario era tanto grave che Guerrini [1957, p. 69] ebbe a scrivere che "La nuova moneta di bronzo introdotta dal nuovo governo era costantemente rifiutata dai venditori al minuto, sicché tutti quelli che erano pagati con quella (come operai e soldati) non potevano spenderla e quindi erano costretti a barattarla con quella [borbonica] in rame, che sola circolava senza difficoltà, con una perdita di circa il quattro per cento." Inoltre, sempre Guerrini [ibid., p. 71], riporta che il quotidiano Nazionale del 10 gennaio 1862 scrisse che "Sappiamo che nelle amministrazioni secondarie della posta il garbuglio [determinato dalla minuta circolazione di moneta] è stato tanto che s'è dovuto tornare al computo in moneta napolitana [...]".

    Il fatto che tale questione economica fosse circoscritta ai soli territori dell'ex regno borbonico, rende improbabile la coniazione di questo esperimento in zecche diverse da quella di Napoli. Infatti, la non più rinviabile necessità di una moneta da 10 centesimi era un'esigenza prettamente meridionale e la Estivant, essendo una società privata, aveva la possibilità di muoversi con maggiore autonomia rispetto alle zecche controllate direttamente dall'amministrazione pubblica, come nel caso - ad esempio - della zecca di Bologna, e il motivo per cui il materiale creatore di questi 10 centesimi non compare nel catalogo Fiorelli, così come nell'Archivio di Stato di Napoli non è stata trovata alcuna documentazione in merito, potrebbe essere legato al fatto che il materiale in oggetto fu realizzato in autonomia dalla zecca di Napoli, rimanendo poi nelle disponibilità della società che la gestiva, che, per questo motivo, non impiegò nella coniazione di questi 10 centesimi il contrassegno di zecca.

    Risulta quindi verosimile che la società Estivant, a seguito dei gravi problemi descritti, abbia proceduto alla realizzazione di un esperimento di circolazione, dalle appropriate caratteristiche tecniche ma con i tipi diversi da quelli decretati per le monete dei tagli inferiori, che fosse facilmente distinguibile rispetto all'eventuale nuova moneta da 10 centesimi non ancora istituita. Così si giustifica, nella realizzazione di questo esperimento, l'utilizzo dei tipi, collo lungo nel dritto e due rami di alloro nel rovescio, propri delle precedenti monete sabaude dichiarate fuori corso. In tal modo il prodotto finale risultò pienamente funzionale allo scopo, senza peraltro essere assimilabile ad un falso. Infine, la scritta esperimento, collocata nel dritto di questi 10 centesimi, era esplicativa della loro funzione sperimentale.

    Ricordiamo che di questi 10 centesimi abbiamo notizia, in merito alla loro certa circolazione, per mezzo dell'osservazione di "parecchi esemplari" che "dimostrano tutti di essere stati molto in circolazione" [Cagiati 1918, p. 56], tanto che "non v'è dubbio che la moneta abbia circolato a Napoli" [Guerrini 1957, p. 71], solo da studiosi napoletani, il che rafforza gli indizi che indicano Napoli quale unico palcoscenico di questa sperimentazione. Poco importa se qualche mese dopo l'emissione di questi 10 centesimi "Esperimento", in forza della L 737/1862, furono istituite le monete da 10 centesimi; infatti, come abbiamo visto, la loro istituzione, benché assolutamente necessaria nelle province meridionali, non era affatto né prevista né certa, in quanto sia le autorità monetarie sia il Parlamento non erano favorevoli alla loro coniazione. Noi non conosciamo le motivazioni che spinsero prima il Marchisio [v. supra] e poi il CNI [v. supra] ad attribuire la coniazione di questi esperimenti alla zecca di Napoli; certamente, per farlo, avranno avuto le loro ragioni. Lo stesso discorso vale per l'indicazione del numero di 20.000 pezzi coniati fornitaci da Castellana [v. supra]; un'informazione tanto precisa sarà stata determinata da riscontri certi.

    Pertanto, riprendendo il discorso rimasto in sospeso in merito alla natura di quanto in oggetto, questa emissione in bronzo da 10 centesimi costituirebbe un esperimento per una nuova valuta, coniata, presumibilmente nella zecca di Napoli nel 1862, a seguito delle particolari esigenze economiche coeve, relative alla circolazione monetaria spicciola nelle province meridionali, causate dall'adozione del sistema decimale, privo, in quel momento, di monete di bronzo superiori ai 5 centesimi. Essa, sarebbe stata immessa in circolazione limitata - forse 20.000 pezzi, poi quasi tutti ritirati - per effettuare un sondaggio circa la sua effettiva utilità. Questa iniziativa, potrebbe avere contribuito a spianare la strada alla successiva istituzione della moneta di bronzo a corso legale da 10 centesimi, che, fino a quel momento, era stata osteggiata sia dalla Commissione Monetaria sia dal Parlamento. Non vi è alcun dubbio che, in ogni caso, questi 10 centesimi "Esperimento", costituiscono un documento storico-economico di indiscutibile importanza.


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